SICCITÀ, INCENDI E CAMBIAMENTI CLIMATICI. IL COMMENTO DELL’UFFICIO STUDI E RICERCHE FIDC ALLA NOTA ISPRA

Roma, 13 settembre 2021 – La nota del 9 settembre 2021 dell’ISPRA, inviata a tutte le Regioni in tema di siccità, incendi e tutela della fauna selvatica potrebbe apparire persino ragionevole dopo un’estate caratterizzata da temperature medie certamente tra le più elevate degli ultimi anni e da una carenza di precipitazioni in varie regioni. Una condizione climatica che spesso alimenta il fenomeno degli incendi in alcune regioni, danneggiando indubbiamente l’ambiente, ma anche l’interesse degli stessi cacciatori di quelle regioni. Infatti, alla perdita di habitat per la fauna selvatica si aggiunge, sui terreni boschivi percorsi dal fuoco, la preclusione della caccia per 10 anni in base alla legge 21 novembre 2000 n. 353.

Il contesto generale è evidentemente quello del riscaldamento globale (fenomeno attribuito all’azione dell’uomo attraverso l’emissione in atmosfera dei gas serra), che secondo l’ultima relazione del Gruppo intergovernativo di esperti sul cambiamento climatico (IPCC) sta progressivamente modificando anche l’andamento delle precipitazioni, con prevedibili aumenti di frequenza e di intensità dei fenomeni meteorologici estremi.

Sulla base di questi dati e delle proiezioni dell’IPCC le Autorità dei Paesi più sviluppati stanno adottando politiche sempre più incisive per ridurre l’emissione dei gas serra particolarmente nel settore dei processi produttivi. Ricordiamo che l’Europa alla fine del 2017 aveva già ridotto le emissioni di quasi il 22% rispetto ai livelli del 1990, raggiungendo in anticipo l’obiettivo fissato nel 2008 per il 2020, e recentemente i leader dell’UE hanno approvato l’ambizioso obiettivo di realizzare un’UE a “impatto climatico zero” entro il 2050. Lo sforzo necessario si preannuncia notevole, tanto che il bilancio a lungo termine dell’UE, per il periodo 2021-2027, in accordo con il Next Generation EU, prevede che almeno il 30% della spesa totale sia destinata a questo scopo.

Oltre al settore industriale la transizione ecologica dovrà prevedere investimenti anche nel settore delle produzioni agro-forestali, sia per accrescere il sequestro del carbonio (incentivando ad esempio la messa a dimora di siepi, che sono in grado di sequestrare il carbonio al doppio del tasso di un bosco, in quanto catturano più luce solare grazie alla loro struttura tridimensionale), sia per mitigare la produzione di metano e CO2 negli allevamenti zootecnici. Non dobbiamo, infatti, dimenticare che la sola produzione mondiale di carne è responsabile di quasi un quinto delle emissioni di gas serra.

In questo contesto non si dovrebbe trascurare che la caccia svolge un ruolo assolutamente positivo in quanto consente di attingere in modo sostenibile al servizio ecosistemico della produzione naturale delle carni di selvaggina, contribuendo a ridurre in modo significativo il ricorso alle carni di animali allevati.

Ciò che sembra quindi stonare nella recente raccomandazione dell’ISPRA non sono gli eventi climatici potenzialmente avversi all’ambiente e alla fauna selvatica, né la preoccupazione per gli incendi che purtroppo ancora sfregiano certe aree del Paese. Lo stesso art. 19, c. 1, della Legge n. 157/’92 prevede la possibilità per le Regioni di assumere provvedimenti limitativi dell’attività venatoria a seguito di comprovate situazioni avverse per la fauna selvatica. Ne sono un esempio i protocolli previsti dai Calendari venatori a tutela della Beccaccia durante le ondate di gelo. Ma queste eventuali limitazioni non possono essere applicate in modo generalizzato perché sappiamo bene che in natura a fronte di specie che sono sfavorite da determinate condizioni ecologiche ve ne sono altre che non ne risentono affatto e altre ancora che addirittura se ne avvantaggiano.

Ciò che stride nella nota ISPRA è proprio questo, ovvero l’assoluta mancanza di casi documentati, di parametri demografici, di indicatori o di altri dati biologici oggettivamente comprovati e valutabili dagli interlocutori di riferimento. Intendiamoci, tutto questo ove fosse necessario a sostegno di quanto auspicato dall’Istituto e a dimostrazione dei danni faunistici paventati sul piano tecnico-scientifico.

Nella nota in esame si afferma, infatti, che si è determinata una “condizione di pregiudizio per la conservazione della fauna in ampi settori del territorio nazionale che rischia di indurre effetti negativi nel breve e nel medio periodo sulla dinamica di popolazione di molte specie”. Ma allo stesso tempo l’Istituto ammette che la richiesta rivolta alle Regioni, tesa a limitare l’attività di addestramento cani (in effetti ormai conclusa) e l’esercizio venatorio, viene avanzata “pur non essendo disponibili ad oggi stime attendibili dei danni arrecati al patrimonio ambientale e, in particolare, alla fauna selvatica”.

Ci si chiede quindi come mai tale carenza, anche considerando che è almeno un decennio che si verificano fenomeni simili e che il monitoraggio della fauna selvatica è un compito precipuo dell’Istituto, così come dettato dall’art. 7, c. 3, della Legge n. 157/’92.

Altre due proposte contenute nella nota ISPRA lasciano ugualmente sconcertati: una riguardante il divieto di caccia da appostamento e l’altro sul posticipo dell’apertura agli uccelli acquatici.

Sempre con affermazioni generiche si chiede il divieto di caccia da appostamento, in particolare nel periodo di preapertura, dimenticando che proprio ISPRA scrive nei pareri di non esercitare la caccia vagante nel mese di settembre, il che consiste quindi in realtà in una richiesta di divieto totale di caccia.

Chissà se ISPRA ha considerato che le specie oggetto di caccia in preapertura sono la tortora (laddove consentita) uccello migratore dei climi semi aridi, il colombaccio e i corvidi, specie in aumento in tutta Italia, nonostante la caccia in preapertura, gli incendi e la siccità; anzi i corvidi sono oggetto di attività di controllo in qualsiasi periodo dell’anno.

Allo stesso modo la proposta di posticipo al 1° ottobre della caccia agli acquatici, anch’essa avanzata senza alcun dato a supporto, non è condivisibile considerando che si tratta di uccelli migratori, in grado di spostarsi se le condizioni non sono idonee, e dimenticando il contributo fondamentale dei chiari da caccia e delle aziende faunistico venatorie vallive nell’offerta di habitat umido, proprio nel periodo estivo in cui si può verificare la carenza di acqua.

Come sempre ISPRA invece di valorizzare il lavoro di chi si impegna in prima persona e a proprie spese per un interesse anche pubblico, sceglie di proporre ulteriori penalizzazioni, che si aggiungono a quelle sulle date di chiusura e sulle specie cacciabili.

Tornando al ruolo di ISPRA previsto dalle leggi, proprio perché i mutamenti climatici in corso sono potenzialmente importanti per alcune specie, non dovrebbero essere trascurati dai programmi di attività dell’ISPRA sul piano conoscitivo e tecnico-scientifico. Si tratta quindi di una sorta di “moral suasion”, in realtà sollecitata dal MiTE su richiesta delle solite Associazioni ambientaliste? Forse il MiTE dovrebbe piuttosto sollecitare e sostenere l’attività di ricerca dell’ISPRA in questo campo, anche nel settore faunistico, piuttosto che assecondare acriticamente, come sottolineato dal Ministro Cingolani, la massa di “ambientalisti oltranzisti, ideologici, peggiori della catastrofe climatica verso la quale andiamo sparati, se non facciamo qualcosa di sensato”.

Qualcosa di sensato in questo campo non è certo contrastare il Mondo venatorio italiano, ma è ricercare una sinergia per la tutela dell’ambiente e la salvaguardia della fauna selvatica.

Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro-Ambientali Federcaccia