SUL “CORRIERE ROMAGNA” FEDERCACCIA RISPONDE ALL’AMBIENTALISMO IDEOLOGICO: BASTA DISINFORMAZIONE

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In risposta a un articolo uscito negli scorsi giorni in cui veniva dato risalto alle richieste di alcune sigle anticaccia in merito alla chiusura dell’attività venatoria in particolare nella zona del Delta del Po, la Federcaccia provinciale di Ravenna e l’Ufficio Studi e Ricerche nazionale hanno pubblicato oggi – 22 giugno – una articolata nota sul quotidiano  “Corriere Romagna”, che vi riportiamo di seguito

Un articolo pubblicato il 12 giugno u.s. da RavennaWEBTV riporta la notizia di osservazioni presentate dalle associazioni ambientaliste – ENPA, LAC Emilia-Romagna, LAV Bologna, OIPA sezione di Ravenna ed Italia Nostra sezione Ravenna – al documento “Misure di conservazione dei siti Natura 2000”, pubblicato dalla Regione Emilia-Romagna, con le quali le medesime associazioni non perdono l’occasione per reiterare richieste di parte e accuse anche all’operato della Regione. L’accusa è che le nuove Misure per i siti Natura 2000, ricalcando in gran parte quelle precedenti, indicherebbero che le stesse “non sono mai state attuate se non molto parzialmente”, in tal modo misconoscendo però che si tratta di misure permanenti, aggiornate per assicurare la conservazione degli habitat e delle specie tutelate dalle Direttive 2009/147/CE e 92/43/CEE.

Le associazioni chiedono poi di stabilire che “l’attività venatoria all’interno di zone Rete Natura 2000 dell’Emilia-Romagna sarà sottoposta a specifica Valutazione di incidenza da eseguirsi ogni due anni, valutata la dinamicità ambientale degli ecosistemi o degli habitat interessati”. Anche in questo caso si misconosce che il calendario venatorio è un provvedimento annuale e che, come tale, viene sottoposto ogni anno alla Valutazione d’Incidenza Ambientale, ed è emanato solo con esito positivo.

Ulteriore punto di contestazione “è che la caccia viene prevista all’interno delle zone Rete Natura 2000”. In questo caso sorprende che le associazioni si stupiscano di una regola valida in tutta l’Unione Europea. Infatti, la Guida della Commissione UE alla caccia sostenibile nell’ambito della Direttiva Uccelli (2008) afferma, al punto 1.5.3, “nelle due direttive in materia di protezione della natura non esiste alcuna presunzione generale contro l’esercizio della caccia nei siti Natura 2000”. La caccia nei siti Natura 2000 è quindi pienamente compatibile non soltanto come attività tradizionale diffusa in tutta Europa – di cui occorre tener conto in base all’art. 2, paragrafo 3, della Direttiva 92/43/CEE “Habitat” e dell’art. 2 della Direttiva 2009/147/CE “Uccelli” – bensì come motore di investimenti, gestione, miglioramento e ripristino degli habitat, reintroduzione delle specie, controllo delle specie problematiche e di quelle aliene, vigilanza contro gli illeciti, uso sostenibile dei servizi ecosistemici e mezzo di valorizzazione economica del capitale naturale. Bisogna riconoscere che la Commissione ha cercato di chiarire in ogni modo il vero senso conservativo della Rete Natura 2000, rigettando i rischi di una “conservazione fissista” e facendo leva sull’approccio inclusivo e partecipativo per la gestione sostenibile degli habitat e delle specie tutelate. Anche nell’ambito della “Strategia dell’UE sulla biodiversità per il 2030 – Riportare la natura nelle nostre vite” e nella “Nota sui criteri e le linee guida per la designazione delle aree protette” (2020) rivolta agli Stati Membri per conseguire l’obiettivo 30×30, si prevedono persino nelle aree “rigorosamente protette” delle forme sostenibili di prelievo venatorio/controllo, se ritenute utili a conseguire gli obiettivi di conservazione prefissati. Basti pensare alla necessità di controllo delle specie aliene e di regolazione della densità degli Ungulati (es. cinghiale, cervo, daino) che, se incontrollati, possono risultare persino dannosi all’ambiente. Per questi motivi la Commissione europea, nella procedura EU PILOT (che non è la messa in mora) INFR(2023)2187 citata dalle associazioni ambientaliste nell’articolo, non ha fatto alcun riferimento al fatto che la caccia sia consentita nei siti Natura 2000.

Per le associazioni ambientaliste emiliano-romagnole invece  la caccia nel Delta del Po dovrebbe essere interdetta a prescindere, non conoscendo che proprio in materia di tutela delle zone umide la prestigiosa Wetlands International (l’ente coordinatore dei censimenti invernali degli uccelli acquatici in tutto il mondo), a seguito di uno studio specifico svolto in collaborazione con diverse Università, ha dimostrato che le zone umide migliori per la conservazione degli uccelli acquatici sono quelle in cui si realizza una gestione attiva, mentre quelle semplicemente protette non sono altrettanto efficaci. Secondo lo studio (il più grande svolto a livello globale sugli effetti conseguenti ai regimi di protezione sugli uccelli acquatici, pubblicato dalla Rivista “Nature”) risulta che l’impatto della designazione delle aree protette, come i parchi nazionali, non è scontato e i risultati dimostrano che è fondamentale la gestione delle zone tutelate e che senza tale gestione, queste aree hanno maggiori probabilità di non risultare efficaci alla conservazione delle specie (Wauchope, H.S., Jones, J.P.G., Geldmann, J. et al., 2022. Protected areas have a mixed impact on waterbirds, but management helps. Nature 605, 103–107. https://doi.org/10.1038/s41586-022-04617-0).

Il solito catastrofismo delle associazioni ambientaliste è peraltro smentito nei fatti dalla tendenza positiva dei dati dei censimenti invernali (coordinati dall’ISPRA) degli uccelli acquatici svernanti in Italia, che nel periodo 2009-2018 (l’ultimo) mostra un generale andamento positivo (essendo passati da 1.609.132 a 2.030.129 individui), compresi gli anatidi, anche di specie cacciabili, che registrano il 22% d’incremento (Gazzetta Ufficiale, Serie generale n. 151 del 30-6-2023).

Altra valutazione catastrofistica delle associazioni ambientaliste è la classificazione del Delta del Po come “black spot” per attività di bracconaggio in danno agli uccelli acquatici. Questa definizione era stata simbolicamente adottata nell’ambito del Piano di Azione per il contrasto degli illeciti contro gli uccelli selvatici (30 marzo 2017), al fine di pianificare una serie di misure specifiche di prevenzione e contrasto. A questo punto però il Piano è scaduto da oltre due anni e i risultati sono che il fenomeno del bracconaggio è ormai in costante diminuzione in Italia, come fu attestato già nel 2021 l’allora Ministero della Transizione Ecologica con lettera n. 0105512.01 del 01/10/2021. Tale positivo andamento risulta anche dai dati oggettivi del “Rapporto IV anno di attività” dello stesso Piano e dal Documento Tecnico ISPRA (2022) “I crimini contro gli uccelli selvatici. Approfondimenti tematici per un’efficace azione di contrasto” (Box 3, procedimenti penali nei Tribunali italiani).

Per quanto riguarda il tema dell’uso dei pallini di piombo nella caccia, con l’entrata in vigore del Regolamento 2021/57 della Commissione del 25 gennaio 2021 recante modifica del Regolamento 1907/2006 (REACH), la questione è ormai superata, essendo vietato ovunque l’uso del piombo all’interno o in prossimità delle zone umide italiane ed europee. Si discute, ancora, sulla classificazione delle zone umide temporanee o effimere, che non costituiscono un “habitat” idoneo per le specie acquatiche. La minaccia della Commissione di aprire una procedura di infrazione nei confronti dell’Italia in realtà si basa su una interpretazione che non sembra tecnicamente in linea con le finalità perseguite dal Regolamento 2021/57. E questa sarebbe anche l’interpretazione data dai Giudici del Tribunale UE, Chambre V, 21.12.2022, nella causa T-187/21, i quali hanno ritenuto che l’interpretazione corretta da dare alla nozione di “zone umide” nel Regolamento porta ad escludere le aree, che per le loro dimensioni o la loro instabilità, non sono realmente suscettibili di fornire un habitat per gli uccelli acquatici.

Le associazioni ambientaliste si dimostrano, in tal modo, zelanti sulla questione del piombo, ma “trascurano”, invece, che il 26 gennaio 2023 la Commissione ha deferito alla Corte di Giustizia UE sei Stati membri, tra cui l’Italia, per la mancata attuazione di varie disposizioni del Regolamento n. 1143/2014 in materia di prevenzione e lotta alle specie aliene invasive di rilevanza unionale. Si tratta di 37 specie che minacciano la biodiversità in tutta Europa, di cui 22 presenti anche in Italia, tra queste, basti citare la nutria per rendere l’idea della dimensione del problema, soprattutto nel bacino del Po. Se consideriamo che si tratta della seconda causa di minaccia per la conservazione della biodiversità a livello globale, stupisce l’ostinata opposizione del mondo ambientalista verso qualsiasi forma di controllo delle specie aliene, che indirettamente ne alimenta la diffusione e l’impatto negativo sulla natura in Italia.

Ancora una volta nell’azione delle associazioni ambientaliste emiliano-romagnole sembra prevalere la logica demagogica e di bandiera della “lotta” nei confronti della caccia e dei cacciatori, senza considerare la realtà delle cose e le possibili sinergie che andrebbero a beneficio dell’ambiente.

Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro Ambientali Federcaccia 

Sezione Prov.le Federcaccia Ravenna