La Peste Suina Africana (PSA) è una malattia virale che causa la morte di una elevata percentuale di suini sia domestici che selvatici e rappresenta uno dei maggiori pericoli per la produzione suinicola mondiale. Allo stato attuale non esistono vaccini e terapie efficaci.
L’arrivo in Europa della malattia sostenuta dal genotipo II del virus (cioè quello rilevato fra Piemonte e Liguria) deriva probabilmente, ma anche in modo significativo, dall’improprio smaltimento di suini infetti arrivati nel porto di Poti in Georgia nel 2007, a dimostrazione che, contrariamente a quanto viene fatto intendere in genere dagli ambienti antivenatori, la primaria fonte di diffusione della malattia sono i suini domestici, mentre i cinghiali svolgono, loro malgrado, prevalentemente un ruolo di serbatoio del virus. Dalla Georgia, la malattia si è diffusa in diversi paesi dell’Europa dell’est. L’esplosione del focolaio nel nostro paese ha una probabile causa antropica data la lontananza dai luoghi ove la malattia è endemica. Il virus si trasmette per contatto diretto con animali malati, per ingestione di carne infetta o per contatto con altro materiale contaminato, tuttavia i meccanismi di trasmissione specie nel lungo termine, non sono chiarissimi.
La malattia si trasmette dai suini selvatici a quelli domestici e viceversa e per questo motivo la gestione delle popolazioni di cinghiale assume una notevole importanza per limitare i rischi di diffusione. La strategia raccomandata dall’EFSA (Ente Europeo per la Sicurezza Alimentare) in caso di focolaio epidemico è quello di definire una Zona Infetta sulla base dei rinvenimenti delle carcasse ove le attività umane all’aperto vengono limitate onde evitare lo spostamento anche passivo del virus. Tale area, se possibile, dovrebbe essere recintata ed intorno dovrebbe essere delimitata una Zona Cuscinetto dove fare interventi di controllo in biosicurezza. L’anello più esterno è rappresentato dalla Zona di Controllo dove attuare una forte riduzione della densità tramite attività venatoria, abbattimento e trappolaggio. Come si può facilmente intuire l’applicabilità e l’efficacia di questo protocollo nelle situazioni ambientali del nostro paese non è scontata. Si deve inoltre tenere presente che alcuni studi epidemiologici hanno messo in evidenza che il cinghiale è responsabile dello spostamento del virus su distanze relativamente brevi, mentre la diffusione a distanze superiori a 30 km è probabilmente causata dal fattore umano. Per questo motivo assume una importanza fondamentale la biosicurezza non solo degli allevamenti, ma anche di tutti gli agenti ed operatori di quei settori che in vari modi possono venire a contatto con il virus ed esserne occasionali ed inconsapevoli vettori: autotrasporto, selvicoltura, faunistico-venatorio, pesca e raccolta funghi ecc.
Infine un altro fattore importante per ridurre il rischio di espansione è l’individuazione e la distruzione precoce delle carcasse infette poiché queste possono conservare il virus anche per diverse settimane ed i cinghiali hanno l’abitudine di avvicinarsi ed alimentarsi con esse. Da parte sua, il mondo venatorio è l’unico soggetto in grado di svolgere compiti come quello del rinvenimento delle carcasse, quello del monitoraggio e del controllo numerico delle popolazioni di cinghiale.
Sulla scorta di queste solide argomentazioni, va dunque respinto con forza ogni tentativo di strumentalizzazione della PSA in chiave anticaccia. (Francesco Santilli)
Bibliografia
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– Podgórski, Tomasz, and Krzysztof Śmietanka. “Do wild boar movements drive the spread of African Swine Fever?.” Transboundary and emerging diseases 65.6 (2018): 1588-1596.
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