La tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia
A cura di Valter Trocchi Ufficio Studi e Ricerche Faunistiche e Agro Ambientali Federcaccia
In occasione dei trent’anni dal varo della Legge n. 157/1992 Legambiente ha pubblicato un ulteriore documento dal titolo “Tutela della fauna selvatica e il bracconaggio in Italia”, nel quale si riportano presunti “dati attribuiti alle Forze di Polizia dal 2010 al 2021”. Il documento esordisce con la seguente frase “fino ad oggi, l’unica legge italiana che, sull’intero territorio nazionale, tutela, in minima parte, la fauna selvatica è la legge n. 157 del 1992”, ignorando completamente la Legge n. 394/1991, che evidentemente secondo Legambiente tutela solo le Aree Protette, ma non la fauna selvatica ivi presente e, per logica conseguenza, non ha un ruolo nelle strategie di tutela della fauna selvatica? Oltre a questa Legge fondamentale, il documento di Legambiente ignora anche:
- la Direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente che è stata recepita in Italia con il d. lgs. 121/2011 “Attuazione della direttiva 2008/99/CE sulla tutela penale dell’ambiente, nonché della direttiva 2009/123/CE che modifica la direttiva 2005/35/CE relativa all’inquinamento provocato dalle navi e all’introduzione di sanzioni per violazioni”. L’art. 1 del decreto legislativo inserisce nel c.p. l’art. 727-bis; tale articolo prevede che, salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque uccida, catturi o detenga esemplari appartenenti ad una specie animale selvatica protetta sia “punito con l’arresto da uno a sei mesi o con l’ammenda fino a 4. 000 euro, salvo i casi in cui l’azione riguardi una quantità trascurabile di tali esemplari e abbia un impatto trascurabile sullo stato di conservazione della specie”. Per quanto concerne l’avifauna, per specie protette il decreto intende quelle indicate nell’allegato I della Direttiva 2009/147/CE (art. 1).
- la Direttiva 2004/35/CE sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale, recepita con il d. lgs. 152/06 “Norme in materia ambientale”. La parte che riveste interesse ai fini del contrasto degli illeciti contro la fauna è contenuta nella Parte Sesta “Norme in materia di tutela risarcitoria contro i danni all’ambiente”. In base all’art. 300 (c. 1), è considerato “danno ambientale qualsiasi deterioramento significativo e misurabile, diretto o indiretto, di una risorsa naturale o dell’utilità assicurata da quest’ultima”. In particolare, viene specificato che (art. 300, comma 2): “Ai sensi della direttiva 2004/35/CE costituisce danno ambientale il deterioramento, in confronto alle condizioni originarie, provocato: a) alle specie e agli habitat naturali protetti dalla normativa nazionale e comunitaria di cui alla legge 11 febbraio 1992, n. 157, recante norme per la protezione della fauna selvatica, che recepisce le direttive 79/409/CEE del Consiglio del 2 aprile 1979; 85/411/CEE della Commissione del 25 luglio 1985 e 91/244/CEE della Commissione del 6 marzo 1991 ed attua le convenzioni di Parigi del 18 ottobre 1950 e di Berna del 19 settembre 1979, e di cui al d.p.r. 8 settembre 1997, n. 357, recante regolamento recante attuazione della direttiva 92/43/CEE relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e della fauna selvatiche, nonché alle aree naturali protette di cui alla legge 6 dicembre 1991, n. 394, e successive norme di attuazione.”
- La Legge n. 150/1992 che disciplina i reati relativi all’applicazione in Italia della Convenzione sul commercio internazionale delle specie animali e vegetali in via di estinzione (Convenzione di Washington o CITES). Gli Stati Membri dell’UE hanno poi adottato il Regolamento (CEE) n. 3626/82 relativo all’applicazione nella Comunità della medesima convenzione CITES; la Convenzione era stata ratificata in Italia con la Legge n. 874/1975. La Legge n. 150/1992 prevede un sistema sanzionatorio specifico (artt. 1, 2, 4, 5). Integrazioni alla Legge n. 150/1992 sono state successivamente effettuate dalla Legge n. 426/1998, dal d. lgs. n. 275/2001 e dalla Legge n. 68/2015. Inoltre, sono state inasprite le pene comminate per violazioni al commercio delle specie protette, incluse quelle in Allegato B, molte delle quali corrispondenti all’Appendice II (artt. 3 bis, 8 bis, 8 ter).
- Fino all’entrata in vigore della L. 189/2004 96 Disposizioni concernenti il divieto di maltrattamento degli animali, nonché di impiego degli stessi in combattimenti clandestini o competizioni non autorizzate i reati di uccisione e di maltrattamento degli animali avevano un ruolo piuttosto marginale o legato esclusivamente alla tutela patrimoniale del proprietario, come nel caso del delitto di cui all’art. 638, mentre con le modifiche apportate da tale norma da semplici contravvenzioni assurgono al ruolo di delitto.
- Le altre norme che non riguardano l’esercizio venatorio e l’allevamento e che riguardano ad esempio il maltrattamento animale come previsto dalla Legge n. 189/2004, dall’art. 3 della Legge n. 201/2010 e dal C.P.
- Tutta la normativa europea, che è persino prevalente rispetto a quella nazionale: la Direttiva 2009/147/CE “Uccelli”, la Direttiva 92/43/CE “Habitat”, la Direttiva 2008/99/CE77 sulla tutela penale dell’ambiente e le già citate Direttiva 2004/35/CE (sulla responsabilità ambientale in materia di prevenzione e riparazione del danno ambientale) e i quattro Regolamenti di recepimento della Convenzione CITES.
Come si può constatare, una visione quella di Legambiente in materia giuridica quantomeno alquanto distorta rispetto alla realtà.
Ma con queste premesse fasulle anche il seguito del documento è notevolmente fuorviato. Per sostenere che solo l’1,1% del numero di specie complessive della fauna selvatica italiana è tutelato dalla Legge n. 157/92 il documento trascura che l’art. 1 della stessa legge tutela il 100% della fauna selvatica omeoterma, ovvero tutti gli Uccelli e i Mammiferi, compresi quelli marini. Certo è che non considerando tutta la normativa precedentemente elencata è ovvio che si trascura anche la tutela assicurata dall’Ordinamento complessivo a molte altre specie di fauna selvatica.
Poi Legambiente ha una strana concezione dei soggetti delegati dalla Legge n. 157/92 alla gestione attiva della fauna selvatica: cita le Istituzioni pubbliche, i privati, gli enti locali (Comuni e Province) e le categorie sociali ritenute più interessate, cacciatori, agricoltori e ambientalisti. Come se la Legge nazionale non delegasse alle Regioni e Province autonome il recepimento della stessa a livello locale, tramite le leggi regionali, e gli ATC e i CA non fossero una diretta emanazione dell’Ente pubblico e non svolgessero funzioni di tipo pubblicistico. Quindi, tutto il territorio di competenza della Legge n. 157/92 è regolamentato, pianificato, gestito e vigilato (direttamente o indirettamente, dopo la cosiddetta Riforma Del Rio) dalle Regioni e Province autonome. I territori a gestione privatistica sono soggetti ad un disciplinare di concessione e sono comunque sottoposti a vigilanza dell’Ente pubblico che l’ha rilasciato. Poi si forniscono i soliti dati forvianti sulle Aree Protette, lasciando intendere che esistono solo le aree previste dalla Legge n. 394/1991, mentre oggi in tutte le Regioni e Province autonome il territorio complessivamente protetto (quindi con divieto di caccia) da una serie di norme nazionali, regionali, provinciali e locali non è mai inferiore al 20% per quanto riguarda gli istituti di tutela diretta della fauna selvatica e in molti casi è persino superiore allo stesso limite massimo stabilito dalle Legge n. 157/92.
Il documento in esame tratta anche il numero teorico di specie di Mammiferi e Uccelli cacciabili in Italia e lamenta che sarebbe molto sopra la media europea, senza contare che nella nostra Penisola vi è la più alta biodiversità d’Europa e le specie cacciabili riflettono evidentemente tale diversità biologica.
Ulteriori panegirici riguardano la storia della Legge quadro, i referendum falliti, persino recriminazioni sulla composizione degli Organi direttivi degli ATC e CA. La veemenza e persino il livore di Legambiente si spinge poi al sarcasmo (che notoriamente è la virtù dei perdenti) sostenendo che “è merito dei cacciatori che, forti della espressa finalità venatoria della pianificazione prevista dalla legge nazionale e degli enti nati proprio per “gestire la caccia” nella quasi totalità del territorio agro-silvo-pastorale, hanno ottenuto di essere maggioranza assoluta in tutte le sedi decisionali, comprese quelle consultive. Per completezza, rispetto all’attuazione della legge 157/92, va scritto un “quasi tutte” le sedi decisionali, perché ai cacciatori è mancata “l’occupazione” della sede giudiziaria. Questa, suo malgrado, è divenuta, in assenza di politica e amministrazioni pubbliche attente all’interesse generale e vigilanti sull’effettiva tutela della fauna selvatica, il principale luogo pubblico, insieme al dibattito nella società, di battaglia per il rispetto delle previsioni di tutela per le specie di uccelli e mammiferi indicate dalla legge 157/92, altrimenti lasciate lettera morta quando non scientemente aggirate con normative regionali o atti amministrativi illeciti”. Tutto ciò si commenta da solo per la mancanza di rispetto per le scelte del Parlamento e delle Assemblee regionali nonché per il lavoro delle Istituzioni democraticamente elette. Un approccio che, ancora una volta, testimonia l’approccio fuorviato del documento di Legambiente rispetto alle tematiche di conservazione e gestione sostenibile della fauna selvatica, rispetto al quale purtroppo è ben difficile intavolare un dialogo oggettivo e costruttivo per il bene della fauna selvatica, dell’ambiente e del Paese.
Sulla base dei dati raccolti dalla stessa Legambiente per l’elaborazione dell’annuale Rapporto Ecomafia, si riportano stime degli illeciti a danno della fauna selvatica raccolti negli ultimi dodici anni. Dall’anno 2009 al 2020, anni a cui si riferiscono i dati analizzati che Legambiente avrebbe ricevuto dalle Forze di Polizia, sarebbero stati accertati “oltre 35.500 illeciti, ben 2.960 ogni anno, con una media di quasi 250 illeciti riscontrati ogni mese, che hanno portato alla denuncia di oltre 21.600 persone, poco più di 1.800 ogni anno, più di 150 ogni mese, con oltre 21.900 sequestri, oltre 1.800 ogni anno, circa 150 al mese, e all’arresto di 175 persone, 15 ogni anno, 1 ogni mese”. Prima di tutto occorre dire che i dati non possono essere tratti direttamente dalle contestazioni effettuate dalle Forze di Polizia, ma i dati ufficiali sono quelli delle Regioni, che da un lato debbono valutare le contestazioni per poter eventualmente applicare le sanzioni accessorie, dall’altro hanno l’obbligo di rendicontare annualmente al Parlamento in base all’art. 33 della legge n. 157/92. Quindi la fonte di Legambiente è assolutamente impropria. In secondo luogo il documento di Legambiente non dice che, tuttalpiù, si tratta di illeciti contestati, ma non di illeciti accertati e sanzionati, poiché come sappiamo molto spesso vi è una sostanziale differenza. Infatti, secondo i dati del Ministero della Giustizia, ma anche secondo la stessa Legambiente, “a mero titolo esemplificativo, vale la pena di ricordare, che oltre il 60% dei procedimenti penali in primo grado di giudizio si risolve senza alcuna sanzione penale, e che molti procedimenti terminano con l’oblazione, con la non procedibilità per la tenuità del fatto o con prescrizioni”. Quindi a quale conclusione si deve pervenire, che i dati così sbandierati in modo scandalistico debbono essere decurtati del 60%? Se così è, allora perde di senso anche questa ulteriore affermazione: “Come per l’evasione fiscale, quello che emerge dalle notizie di cronaca e dai dati delle Forze dell’ordine è solo la punta di un iceberg. Nel caso dell’illegalità contro gli animali selvatici in Italia questo è ancor più vero, tant’è che in larghissima parte si preferisce lasciarla “ufficialmente” sconosciuta e quindi impunita”. Non pensiamo proprio che Legambiente possa in alcun modo provare un’affermazione così grave nei confronti delle Istituzioni preposte e in particolare nei confronti delle Forze dell’Ordine. Ma è comunque vero che il rappresentante delle Associazioni venatorie nella Cabina di regia istituita nel 2017 presso il Ministero dell’Ambiente, oggi MiTE, sin dalla riunione di insediamento ha chiesto ripetutamente più uomini, più mezzi e più fondi per la lotta al bracconaggio e una rivalutazione delle Polizie Provinciali, ma si è sempre sentito rispondere che non si può andare contro la politica della Pubblica Amministrazione, che è volta alla riduzione del personale e alla riduzione della spesa pubblica.
Legambiente ha soluzioni diverse? Legambiente sa che a seguito della Riforma del Rio le Polizie Provinciali sono state decimate? Si è a conoscenza del fatto che prima dello smembramento dell’ex Corpo Forestale dello Stato il personale era di circa 9.000 unità e dopo i Carabinieri Forestali erano rimasti poco più di 7.000? Dove erano Legambiente e le altre Associazioni ambientaliste in quel momento, visto che a livello politico potevano essere assai influenti? La risposta è forse questa? : “in teoria, se vi fosse una forte volontà politica e un quadro normativo adeguato per consentire l’efficace contrasto dell’illegalità contro la fauna selvatica fino al giusto processo, gli organi inquirenti potrebbero implementare gli organici, ottenere mezzi e risorse sufficienti, aumentare con successo impegno e specializzazione, riuscendo così ad esercitare sinergicamente attività repressiva e preventiva, e portare i numeri relativi agli illeciti contro la fauna accertati a tendere allo zero”. Certo, in teoria si potrebbero fare tante cose, ma la realtà la dobbiamo mantenere sotto i nostri piedi, altrimenti tutte queste considerazioni non hanno alcun senso. Come non ha senso affermare che “i bracconieri hanno a loro disposizione il 90% del territorio italiano, composto da coste, pianure, colline e montagne”, come a dire che i bracconieri, che ovviamente operano nell’illegalità, per definizione dovrebbero avere delle regole, dei limiti fisici? Ciò non significa che possono anche essere sorpresi e perseguiti dalle Forze dell’Ordine sul 100% del territorio italiano, proprio come gli evasori fiscali. Malgrado le riduzioni di organico e le difficoltà di varia natura la vigilanza anti-bracconaggio ancora esiste in Italia e oltre agli Agenti d’istituto vi sono anche quelli volontari: soltanto quelli delle associazioni venatorie ammontano a quasi 4.000 unità. Semmai vanno meglio organizzati, vanno poi riformati i corpi di Polizia Provinciale, che spesso sono impiegati in compiti non previsti dalla Legge n. 157/1992, ovvero per controllare il traffico sulle strade provinciali per portar fondi alle Province, visto che con le sanzioni per gli illeciti contro la fauna selvatica le stesse Province certamente non fanno cassa!
Assolutamente inaccettabile poi la stima che fa Legambiente sul numero di bracconieri e degli illeciti: “considerando anche soltanto un potenziale di “persone coinvolte” sulla base del 5% dei cacciatori praticanti e degli agricoltori/allevatori/boscaioli (coloro che maggiormente rilasciano dichiarazioni di intolleranza verso la fauna selvatica) si muovono 80.000 bracconieri. Di questi circa una metà fa bracconaggio con determinazione, per lucro o “malata passione”, l’altra metà senza tornaconti di rilievo, tutti comunque “tutelati” nel farlo da rischi quasi inesistenti”. “Anche partendo solo dai 530.000 cacciatori praticanti e considerando soltanto 1 illecito in un anno, ben sapendo che molti cacciatori ne fanno tantissimi e molti altri nessuno, avremmo 530.000 illeciti ogni anno, numero di gran lunga maggiore della stima di 400.000 illeciti/anno”. Prima di tutto è completamente inaccettabile che si applichi una stima percentuale alla categoria dei cacciatori, così come agli agricoltori, ecc., ma poi coloro che compiono illeciti contro la fauna selvatica appartengono alle categorie più disparate ed i veri bracconieri non necessitano certo di una licenza di caccia per operare all’interno di un parco o durante la notte o in periodi di divieto di caccia. Molto spesso coloro che si dedicano assiduamente a queste attività lo fanno per ragioni economiche e a costoro non serve alcuna licenza. Quindi la stima di un esercito di 80.000 bracconieri non ha alcun senso, così come l’applicazione di percentuali di illegalità che secondo le fantasticherie di Legambiente condurrebbero a 400.000 illeciti all’anno! Che piaccia o no esiste una Cabina di regia anti-bracconaggio presso il MiTE e raccoglie i dati ufficiali dalle regioni e dagli Organi di Polizia e questi dati attestano che le attività di bracconaggio da anni sono in costante diminuzione. Lo scrive lo stesso MiTE, Direzione generale per il Patrimonio naturalistico, nella lettera prot. 0105512.01 del 1/10/2021: «Per quanto nel lungo periodo emerga una riduzione degli illeciti e non si abbiano segnali di aggravamento complessivo del fenomeno, si registra la necessità di mantenere alta l’attenzione soprattutto a livello delle amministrazioni regionali, come già peraltro manifestato dal Ministro dell’Ambiente con la nota inviata ai presidenti delle Regioni e Province Autonome nel gennaio 2021». Hanno maggiore attendibilità i dati ufficiali o le stime francamente infondate? Con ciò non s’intende assolutamente sminuire il fenomeno del bracconaggio anche nelle forme più classiche, sulle quali occorre mantenere alta l’attenzione. Ma queste esagerazioni strumentali di Legambiente, che evidentemente sono finalizzate a destare clamore mediatico, purtroppo sviano poi l’attenzione da cause persino più gravi, responsabili di danni enormi e su vasta scala alla fauna selvatica e all’ambiente. Legambiente sa che per quanto riguarda i soli Uccelli nidificanti nell’Unione Europea, si stima un calo del 17–19% di abbondanza dal 1980 al 2017, equivalente alla perdita di 560 – 620 milioni di uccelli, imputabile all’impatto delle “normali” attività antropiche (Burns et al., 2021: https://onlinelibrary.wiley.com/doi/10.1002/ece3.8282)? Possiamo sottacerle? Dobbiamo limitarci a considerare gli illeciti contro i piccoli Passeriformi, inserendo tra questi persino le beccacce… che non sono affatto dei Passeriformi… e fantasticare che questi animali sono catturati da piccoli nei nidi o da adulti con reti, trappole e ogni altro mezzo, per poi essere venduti vivi, come richiami ai cacciatori (mai vista una Beccaccia da richiamo) e questo ammonterebbe alla fantasmagorica stima da 1 a 2 milioni di animali?
In fine, vi sono le richieste di Legambiente, che ovviamente sono basate su presupposti in gran parte sbagliati, come appena si è cercato di evidenziare, ma almeno su una di esse si può certo convenire, cercare di “rafforzare, in personale, strumenti e risorse, e specializzare il personale degli organi inquirenti per consentire la massima efficacia al contrasto dei crimini contro la fauna selvatica”.